La responsabilità dell’istituto scolastico per “culpa in vigilando”: la sentenza C. Cass. Civ. n. 1769/12 e le circolari ministeriali – Criticità

La recente sentenza della Cassazione civile, n. 1769/12, ha ulteriormente specificato alcuni principi in materia di responsabilità dei docenti e dell’Istituto Scolastico per “culpa in vigilando”, che, nell’attuazione pratica, presentano rilevanti problemi di responsabilità per valutazione preventiva del rischio. Viene, preliminarmente, ribadito il duplice profilo di responsabilità contrattuale, nel caso di danni subiti dal minore su di sé, ed extracontrattuale, ex art. 2048 c.c. (codice civile), per fatto illecito dell’allievo. L’istituto potrà risultare esente da responsabilità, solamente provando che l’evento dannoso è derivato da una causa non imputabile alla scuola o ad un suo docente, essendo riconducibile ad un evento casuale, non evitabile ed imprevedibile.

Nel caso di specie la Suprema Corte doveva, in particolare, stabilire le eventuali responsabilità per un danno subito da una minore sedicenne che, durante una gita scolastica, dopo avere scavalcato un parapetto, cadeva dalla terrazza, priva di protezioni, posta a livello del balcone della stanza al secondo piano dell’albergo, in cui alloggiava con altri compagni. Con riferimento particolare alla posizione dell’Istituto scolastico, i giudici della Suprema Corte stabiliscono che: “l’accoglimento della domanda di iscrizione con la conseguente ammissione dell’allievo a scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danni a sé stesso”. Tale principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte (Cass. Civ. n. 9906/10, Cass. Sez. Un. n. 9346/02), viene tuttavia ulteriormente specificato con l’obbligo di adottare, in via preventiva, tutte quelle misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare prevedibili situazioni di pericolo. Si precisa che tali principi vanno applicati anche alla particolare fattispecie della gita scolastica o viaggio di istruzione, con obblighi di diligenza preventivi, da valutare ex-ante, “nella scelta di vettori e strutture alberghiere che non possano, né al momento della loro scelta, né al momento della loro concreta fruizione, presentare rischi e pericoli per l’incolumità degli alunni”. Sulla base di tale ultimo principio la Suprema Corte entra nel merito dell’impugnata sentenza della Corte D’Appello, specificando ulteriormente gli obblighi di docenti ed Istituto Scolastico. Viene confermata l’esclusione, in astratto, di responsabilità dei docenti accompagnatori per la mancata adozione di atti di diuturna e prolungata vigilanza, e nelle ore notturne o destinate al riposo, caratterizzate dal rispetto della riservatezza. Si stabilisce tuttavia che: “sia al momento della scelta in sede di organizzazione del viaggio, ed in tal caso solo sulla base della documentazione disponibile, sia al momento della concreta fruizione, ed in tal caso all’esito di una sia pur sommaria valutazione sul posto delle condizioni, l’istituzione deve valutare preliminarmente l’assenza di rischi evidenti o di pericolosità”. Ciò potrà determinare, secondo la Suprema Corte, anche l’adozione di concrete misure preventive quali: il rifiuto di alloggiare nella struttura, la ricerca di soluzioni alternative anche tramite l’organizzatore o, in caso estremo, il rientro anticipato; l’immediata sostituzione della stanza con altra priva di analoghe situazioni di pericolosità; ovvero in relazione alla capacità di discernimento del singolo ragazzo, l’obbligo di impartire adeguati e comprensibili moniti a non adottare specifiche condotte pericolose. A giudizio della Corte, nel caso di specie, la particolare connotazione della camera in cui era alloggiata la ragazza vittima del sinistro, avrebbe dovuto indurre il personale accompagnatore a rilevare, con accesso alle camere, il rischio della facile accessibilità al solaio di copertura da cui cadde la minore, con l’adozione delle idonee misure preventive.

Gli obblighi a carico di docenti ed Istituto Scolastico, così come puntualmente delineati nella suddetta sentenza, costituiscono delle responsabilità rilevanti in ordine a scelte discrezionali, da effettuarsi con giudizio preventivo, che, a volte, si trovano al limite tra il patrimonio di conoscenze anche tecniche del personale di un Istituto Scolastico ed il buon senso e la diligenza richiesta al docente nell’espletamento dell’attività educativa e formativa (si pensi per esempio alla valutazione anche sommaria, ma preventiva, di idoneità di una struttura alberghiera o di pericolosità di una particolare camera situata all’interno della medesima struttura). Tale logica trae spunto anche da quanto previsto dalla Circolare Ministeriale n. 291 del 14/10/92, richiamata dalla difesa dei ricorrenti a sostegno degli obblighi di sicurezza e vigilanza sulla condotta degli studenti. All’interno di tale circolare viene delineato lo scopo principale delle visite guidate e dei viaggi di istruzione, in considerazione delle motivazioni culturali didattiche e professionali che ne costituiscono il fine principale, attraverso una precisa, adeguata programmazione didattica e culturale predisposta nelle scuole fin dall’inizio dell’anno scolastico, anche attraverso gli organi collegiali, per conseguire quella crescita della personalità dell’allievo, che rientra nell’attività della scuola. Ma il fine didattico, culturale e formativo dei viaggi di istruzione come può conciliarsi perfettamente con gli obblighi preventivi di sicurezza e vigilanza? L’obiettivo di prevenire ogni ipotetico rischio potrebbe infatti comportare delle oggettive difficoltà nell’organizzazione del viaggio. Un’idonea soluzione di compromesso al fine, quantomeno, di ripartire le responsabilità a carico dell’Istituto Scolastico, potrebbe essere individuata nella Circolare Ministeriale, su visite e viaggi d’istruzione, n. 623 del 02/10/96. Dopo aver stabilito che l’intera gestione delle visite guidate e dei viaggi d’istruzione rientra nella completa autonomia decisionale e nella responsabilità degli organi di autogoverno delle istituzioni scolastiche, richiama l’attenzione sulla normativa in materia di pacchetti turistici. Viene, infatti, evidenziato che il rapporto tra agenzie di viaggi ed utenti ha natura contrattuale e come tale è necessario che le scuole abbiano la precisa consapevolezza dei diritti e degli obblighi che discendono dal contratto. Sotto questo profilo la disciplina di cui al D.Lgs. n. 79 del 2011 (codice del Turismo), unita alla possibilità di contrattazione del pacchetto turistico, potrebbe indurre gli istituti scolastici a delineare delle particolari ipotesi di responsabilizzazione dell’agenzia turistica, in relazione alla creazione di pacchetti su misura. A tal fine, l’art. 36 del D.Lgs n. 79/11 prevede espressamente gli elementi costitutivi del contratto, tra cui rientrano: gli estremi della copertura assicurativa obbligatoria e delle ulteriori polizze convenute con il turista, i mezzi le caratteristiche e tipologie di trasporto, data, ora, luogo della partenza e del ritorno, il tipo di posto assegnato e, ove il pacchetto turistico includa il trasporto aereo, il nome del vettore e la sua eventuale non conformità alla regolamentazione dell’Unione europea; ove il pacchetto turistico includa la sistemazione in albergo, l’ubicazione, la categoria turistica, il livello, l’eventuale idoneità all’accoglienza di persone disabili, nonché le principali caratteristiche, la conformità alla regolamentazione dello Stato membro ospitante, i pasti forniti; l’itinerario, visite, escursioni o altri servizi inclusi nel pacchetto turistico, ivi compresa la presenza di accompagnatori e guide turistiche; accordi specifici sulle modalità del viaggio espressamente convenuti tra l’organizzatore o l’intermediario e il turista al momento della prenotazione. Se diventa necessario precostituirsi una sorta di “paracadute di salvataggio” in caso d’incidente è quantomeno opportuno che si inizi sin dalla stipula del contratto con l’agenzia turistica di riferimento. Infine, la sottoscrizione e lo studio di opportune e specifiche polizze assicurative sulla responsabilità civile dell’Istituto e del personale docente, può contribuire ulteriormente ad escludere od attenuare gli obblighi risarcitori in sede civile.

Avv Federico Donini (Pubblicato su Overlex, 06 aprile 2012)

Link: http://www.overlex.com/leggisentenza.asp?id=1735

La difesa processuale del minore alla luce della Legge n. 149/01: quale tutela?

La tutela dei minori è uno dei baluardi di ogni società civile, progredita, democratica. Molteplici ne sono gli aspetti, variegate le sfaccettature, in ogni caso quasi sempre insufficienti i provvedimenti istituzionali per renderla effettiva.

L’intento, in questa sede, è quello di sensibilizzare l’attenzione degli addetti ai lavori in ordine alle modalità attuative del diritto alla difesa del minore, della sua rappresentanza processuale, nei giudizi che lo vedono coinvolto, del suo diritto ad esserne informato e ad essere ascoltato dai magistrati, come parte in causa.

Anche il fanciullo, per quanto minorenne, è titolare dei diritti della personalità, riconosciuti e garantiti sia dalle norme interne che internazionali. Nello specifico, secondo quanto sancito dall’articolo 24 della Costituzione, la difesa spetta a tutti coloro che intendano far valere i propri diritti ed interessi legittimi. In quanto diritto inviolabile, lo Stato deve assicurare ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi adeguati per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Rientrando il diritto alla difesa nella categoria dei diritti inviolabili, anche i minori ne sono titolari e lo possano far valere, ogni qual volta siano radicati giudizi che coinvolgano un loro interesse. Tale principio trova fondamento anche nelle due convenzioni internazionali di New York del 20.11.1989 (ratificata in Italia con legge n. 176/1991)[1] e di Strasburgo del 25.01.1996 (ratificata in Italia con legge n. 77/2003), che ne recepiscono i medesimi criteri, specificandoli ulteriormente. Si sancisce, infatti il diritto del minore, dotato di capacità di discernimento, di esprimere la propria opinione nei procedimenti giudiziari che lo riguardano (articolo 3 legge 77/2003)[2] e qualora i genitori siano privati della facoltà di rappresentarlo, di richiedere la nomina di un rappresentante speciale (articolo 4 legge n. 77/2003)[3]. Si riconosce inoltre il potere all’autorità giudiziaria di designarne uno (nei casi opportuni un avvocato), qualora se ne ravvisi la necessità. La posizione processuale del minore resta, così, distinta da quella dei genitori. Si determina al fanciullo, la possibilità di un’autonoma opinione informata, da rendere formalmente nota al magistrato procedente, nel pieno rispetto del contraddittorio tra le parti e del giusto processo, di cui all’articolo 111 della Costituzione.

La legge n. 149/2001, di recente attuazione (1 luglio 2007), ribadisce espressamente l’obbligo della difesa e della rappresentanza processuale dei minori in particolare nei giudizi di adozione (articolo 8, ultimo comma: “il procedimento di adattabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore…”) [4] ed in quelli relativi alla potestà genitoriale (l’articolo 37, comma terzo, va ad aggiungere l’attuale ultimo comma dell’articolo 336 del codice civile: “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore”)[5]. La portata innovativa di tale previsione normativa è tuttavia rimasta priva di un riscontro oggettivo nella prassi attuativa, dal momento che attualmente al dettato legislativo non è seguita un’adeguata disciplina, per delinearne le modalità applicative. L’elemento nuovo è costituito principalmente dalla necessità della figura professionale dell’avvocato del minore, che ne rappresenti le istanze processuali, sul presupposto della formazione di un libero convincimento del fanciullo, capace di discernimento, in ordine ai fatti di causa. Sarebbero così resi effettivi, anche per i minori, i principi costituzionali relativi al diritto inviolabile alla difesa ed al giusto processo, garantito dal necessario contraddittorio tra le parti dinnanzi ad un giudice terzo ed imparziale.

Tuttavia, in assenza di linee guida comuni, i diversi Tribunali per i Minorenni, stanno intervenendo a livello locale, adottando interpretazioni differenti della legge 149/2001. Da un’indagine nazionale sull’applicazione di tale legge, effettuata, dall’Unione Nazionale delle Camere Minorili, in data 01.07.2008[6], su diciassette Tribunali dei Minori, sono emersi diversi orientamenti e prassi, in merito ai numerosi quesiti posti relativi a: distinzione dei ruoli dell’avvocato del minore e del curatore speciale, nomina d’ufficio del difensore del minore, ipotesi in cui si prevede la nomina del curatore o dell’avvocato del minore, predisposizione di appositi albi da cui attingere per le eventuali nomine, competenze specifiche, richieste per potere assumere tali incarichi, modalità di retribuzione di curatori e/o avvocati ed eventuali consulenti tecnici di parte nominati nel corso del giudizio. Queste sono solo alcune delle numerose problematiche attuative del consolidato principio della difesa del minore, che i Tribunali dei Minori hanno dovuto affrontare in totale autonomia, in modo assolutamente eterogeneo, delineando dinamiche in continua evoluzione. Tale dato emerge chiaramente dalle prassi attuate dagli stessi, analizzate, a seguito dell’indagine condotta dall’Unione Nazionale delle Camere Minorili, nel luglio 2007.

In particolare il Tribunale dei Minori di Milano interpreta la legge 149/2001 in modo restrittivo[7]. Ritiene, infatti, che, con l’entrata in vigore della nuova disciplina normativa, sia stata introdotta la difesa obbligatoria del minore, ma non d’ufficio, in quanto nessuna norma la prevede espressamente. Pertanto provvede alla nomina di un curatore-avvocato, nell’ipotesi di palese conflitto di interessi tra genitori e figlio, senza sospensione della potestà genitoriale, ovvero, nel caso contrario, di un tutore con la funzione, tra le altre, di nominare un difensore di fiducia (avvocato del minore e non curatore). Diversamente i Tribunali di Trento, Venezia, Napoli, Salerno e Reggio Calabria, hanno interpretato la difesa obbligatoria, come difesa d’ufficio. Inoltre il Tribunale dei Minori di Venezia ha a tal fine predisposto un apposito elenco di curatori speciali/avvocati del minore e difensori d’ufficio dei genitori, richiedendo i nominativi da inserire ai diversi Consigli dell’Ordine relativi al distretto di Corte d’Appello, ponendo come unico requisito l’iscrizione all’albo avvocati. Al contrario i Tribunali dei Minori di Milano, Torino, Ancona, Palermo, avendo predisposto un elenco di curatori e avvocati del minore, richiedono, espressamente, ai fini dell’iscrizione, competenze specifiche ed esperienze professionali, maturate nell’ambito del diritto di famiglia e minorile.

È evidente come attraverso l’iniziativa dei singoli Tribunali dei Minori si cerca di sopperire al vuoto legislativo, tuttavia si è ben distanti dalla condivisione di modalità di azione comuni tra tutti coloro che operano per rendere effettivo il diritto alla difesa e alla rappresentanza processuale dei minori, nei giudizi di cui sono parti.

Molte incertezze sussistono, infatti, anche da parte di chi assume l’incarico di curatore/avvocato del minore, in ordine al suo ruolo effettivo, ai poteri e agli obblighi professionali, all’ interazione con le altre figure professionali, come operatori sociali e psicologi, all’opportunità di una formazione specifica, nonché alle modalità di retribuzione a fronte della prestazione di un’ opera professionale.

La difficoltà attuativa del dettato legislativo, l’assenza di direttive comuni, la mancanza di una determinazione chiarificatrice da parte del legislatore, hanno, nei fatti, svuotato di significato la portata innovativa della l. 149/2001. Molto spesso, infatti, queste nuove figure professionali, che dovrebbero essere espressione diretta e non mediata delle esigenze dei minori in difficoltà, rimangono nell’ombra, in attesa di una specifica definizione delle loro funzioni. È evidente che non può essere lasciato tutto al buon senso di coloro che, magistrati, avvocati, operatori sociali, psicologi, operano nel settore.

La tutela dei minori, principio legislativo consolidato da norme interne ed internazionali, risulta, pertanto, limitata, nel nostro ordinamento, da un apparato che sembra essere inadeguato a sostenerla. Auspicando un immediato, quanto mai necessario intervento attuativo da parte del legislatore, si ritiene comunque importante individuare dei punti fermi, almeno a livello locale, attraverso l’emanazione di protocolli di intesa tra Tribunali dei Minori, Ordini degli Avvocati, servizi sociali, con cui stabilire delle linee di azione oggettive ed uniformi, frutto di un lavoro condiviso con il reale intento di salvaguardare l’unico e prioritario interesse di minori che versano in condizioni di grave disagio.

[1] Cfr. Convenzione di New York del 20.11.1989, art. 12: “gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.

A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.

[2] Art 3 Convenzione di Strasburgo 25.01.1996: “nei procedimenti che lo riguardano dinanzi a un’autorità giudiziaria, al minore che è considerato dal diritto interno come avente una capacità di discernimento vengono riconosciuti i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare: a) ricevere ogni informazione pertinente; b) essere consultato ed esprimere la propria opinione; c) essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione.”

[3] Art. 4 Convenzione di Strasburgo 25.01.1996: “salvo quanto previsto dall’articolo 9, quando il diritto interno priva i detentori delle responsabilità genitoriali della facoltà di rappresentare il minore a causa di un conflitto di interesse, il minore ha il diritto di richiedere, personalmente o tramite altre persone od organi, la designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti che lo riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria. 2. Gli Stati sono liberi di prevedere che il diritto di cui al paragrafo 1. venga applicato solo ai minori che il diritto interno ritiene abbiano una capacità di discernimento sufficiente.”

[4] Art. 8 u.c. l. 149/01: “il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2 dell’articolo 10”.

[5] Art. 37, 3° co., l. 149/01: “all’art. 336 c.c., è aggiunto, infine, il seguente comma “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge”. Si precisa che le parole “anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge” sono state abrogate dall’art. 299 d.p.r. 30.05.2002, n. 115.

[6] Cfr. indagine nazionale sull’applicazione della legge 28 marzo 2001 n. 149, effettuata dall’Unione Nazionale delle Camere Minorili, in data 01.07.2008, pubblicata sui siti web istituzionali delle camere minorili di Torino e Milano.

[7] cfr. relazione della dott.ssa Maria Grazia Domanico, giudice minorile a Milano, del 3 novembre 2008, in atti del convegno del 10 ottobre 2008, organizzato dalla Camera minorile di Milano.

Avv. Simona Pettinato (Pubblicato su Filodiritto il 20.03.2009)

Link: http://www.filodiritto.com/articoli/2009/03/la-difesa-processuale-del-minore-alla-luce-della-legge-n-14901-quale-tutela/

Tutela dei minori in Italia tra teoria e prassi

Il pensiero di seguito esposto non ha l’intento di essere un’esposizione dotta sulla legislazione nazionale ed internazionale, che pone la tutela del minore come esigenza prioritaria di ogni società civile. Piuttosto si propone di raccontare l’esperienza professionale relativa alla prassi nell’applicazione concreta di tali principi.

Quando si pensa alla tutela dei minori, si volge inevitabilmente la mente ai gravi problemi relativi allo sfruttamento, ai maltrattamenti, alla violenza fisica e psicologica, alla mutilazione pedissequa e costante di personalità in formazione, inermi, facilmente assoggettabili e condizionabili. Ciò che tuttavia talora sfugge è che tali dinamiche non sono attuali solo in alcune società lontane dai principi della democrazia, ma emergono con sempre maggiore frequenza anche nella nostra società, in contesti insospettabili, preposti essenzialmente alla formazione ed alla cura dei minori. In particolare l’ambiente ove si svolge primariamente la loro personalità è la famiglia, che rimanda inequivocabilmente all’immagine di un luogo sicuro, stabile, fondata sui capisaldi dell’affetto incondizionato, del sostegno costante, della complicità reciproca, della tutela dagli attacchi del mondo esterno. Essa rappresenta una fortezza inespugnabile. Laddove le dinamiche dei rapporti interfamiliari raggiungano i presupposti dell’equilibrio e dell’armonia, la famiglia sarà una fonte inesauribile di energia positiva, che accompagnerà ed incentiverà l’esistenza di ogni suo membro. Tuttavia, qualora sussistano delle fratture interne, insanate ed insanabili, quelle stesse dinamiche possono imbrigliare, in modo inconsapevole, i componenti del nucleo familiare e la fortezza inespugnabile diviene una prigione.

In taluni casi i rapporti sono talmente distruttivi da determinare la soccombenza psicologica dei soggetti più fragili, il più delle volte minorenni. Si rende, pertanto indispensabile, l’intervento di agenzie esterne, per la loro salvaguardia, operatori sociali e di giustizia, preposti all’analisi psicologica e giuridica delle diverse situazioni che si profilano, per evitare che le problematiche emotive e psicologiche attuali, divengano danni permanenti. È a questo punto che si palesano le gravi contraddizioni tra i chiari principi, posti a fondamento della tutela dell’infanzia, espressi dalle norme nazionali ed internazionali, e la loro prassi attuativa. Molto spesso, infatti, le autorità competenti sono sprovviste di strumenti e risorse adeguati per porre in essere le misure necessarie per interventi di tutela appropriati, ma soprattutto efficaci. Talora alcuni principi legislativi di notevole pregio, rimangono lettera morta proprio a causa dell’inadeguatezza delle strutture che dovrebbero attuarli. Mi riferisco ad esempio alle leggi del 28 marzo 2001 n. 149, di recente attuazione (luglio 2007), e del 20.03.2003 n. 77, rimasta ad oggi inattuata. Tali riferimenti legislativi stabiliscono il principio, ormai consolidato, della rappresentanza processuale dei minori nei procedimenti che li riguardano, tramite un avvocato, al fine di tener conto anche della loro opinione nell’emanazione di provvedimenti che condizioneranno in modo permanente la loro esistenza. In particolare la legge 149/2001 ha previsto l’obbligo di nominare un avvocato ai genitori ed al minore, nelle procedure di limitazione e decadenza della potestà ed in quelle per la dichiarazione di adottabilità, presso i Tribunali dei Minori. La legge 77/2003, si limita a ratificare la convenzione di Strasburgo del 25.01.1996, che, dando attuazione ai principi della convenzione di New York del 20.11.1989, sancisce il diritto del minore, dotato di capacità di discernimento, di essere informato ed esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, dinnanzi ad un’autorità giudiziaria (art. 3), nonché, nei casi in cui il diritto interno privi i detentori delle responsabilità genitoriali della facoltà di rappresentarlo, a causa di un conflitto di interessi, il diritto di richiedere un rappresentante speciale (art. 4), ed il potere dell’autorità giudiziaria di designarne uno, (nei casi opportuni un avvocato), qualora ne ravvisi la necessità (art. 9).

Ebbene, la legge 77/2003 non ha ad oggi alcuna attuazione nelle aule dei Tribunali.

La legge 149/2001 ha avuto un principio di attuazione solo nel luglio 2007, quando i Tribunali dei Minori hanno predisposto delle liste di avvocati d’ufficio e curatori speciali, confondendo le funzioni delle due figure, senza tuttavia che ne fosse ben chiaro il ruolo e le modalità di azione, dal momento che ad oggi mancano ancora i decreti attuativi. Ne è derivata una grande confusione nella gestione dei diversi procedimenti, a scapito dell’intento primario di consentire un’effettiva tutela del minore, capace di discernimento, con un suo ruolo attivo e consapevole nei procedimenti che lo riguardano. Di fatto queste nuove figure, previste dall’ordinamento per dar voce alle esigenze, dirette e non mediate, del minore in difficoltà, rimangono spesso nell’ombra, seppur formalmente e giuridicamente presenti, rendendo vano il ruolo che ricoprono. Tutto ciò accade in quanto manca una prassi d’azione che ne definisca in modo chiaro i poteri e gli obblighi. È evidente che non può essere lasciato tutto al buon senso ed alla libera interpretazione di coloro che, magistrati, avvocati, operatori sociali, operano nel settore. È auspicabile un intervento immediato da parte degli organi amministrativi in tal senso, anche se, è già trascorso un anno, ma la situazione sembra invariata.

Questa è solo una sintetica riflessione su uno dei tanti risvolti della tutela dei minori: la loro rappresentanza processuale. Tuttavia molteplici sono i settori che potrebbero essere analizzati, a partire dall’operato dei servizi sociali, alla mancanza di una formazione specifica degli operatori di giustizia nel diritto di famiglia, all’insufficienza ed inadeguatezza delle strutture tenute ad ospitare i minori in difficoltà, infine all’assenza di coordinamento ed il più delle volte anche di capacità comunicativa, tra le diverse figure di “addetti ai lavori”.

In tale contesto sociale ed istituzionale, operare costantemente a stretto contatto con situazioni drammatiche, osservare dinamiche umane profilarsi nel tempo nelle aule dei tribunali senza risultati oggettivi, a fronte dell’inerzia delle istituzioni, fa scaturire un forte senso di amara rassegnazione, nonostante la chiara consapevolezza dell’urgenza di una svolta concreta che possa rendere effettiva la tutela del minore, come priorità di ogni società civile che fonda la sua evoluzione sul rispetto dei diritti umani e l’assunzione di responsabilità rispetto ai soggetti più fragili.

Avv. Simona Pettinato (Pubblicato su Overlex il 18.07.2008)

http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1804